“Nessuno mette in dubbio che ogni grafia esprima le caratteristiche della persona che l’ha prodotta. Chiunque in possesso di un minimo di spirito d’osservazione, è in grado di conoscere la grafia dei suoi conoscenti, purché l’abbia vista un numero sufficiente di volte. Perfino i bambini sono in grado di distinguere i tratti caratteristici della scrittura dei loro compagni, anche se a quell’età contiene solo variazioni irrilevanti rispetto al modello. In tutti e cinque i continenti le pratiche legali si basano sull’autenticità della firma e le moderne operazioni finanziarie non sarebbero possibili, se non ci fosse la certezza dell’affidabilità della firma.”
Questo l’incipit di “Psicologia della scrittura” di Robert Saudek (Londra, 1925, edizioni Unwin; tradotto in italiano per Edizioni Messaggero Padova, 1982).
Personaggio intrigante fu scrittore, romanziere, giornalista, diplomatico, studioso di grafologia; visse a Praga, Lipsia, Parigi, L’Aia, Berlino, Londra.
Conosceva e parlava molte lingue: il ceco — sua lingua madre, era nato infatti a Kolin, in Austro-Ungheria, nel 1880 o ’81 —, il tedesco, l’olandese, il francese, l’inglese.
Iniziò a studiare grafologia per corrispondenza con il grafologo tedesco Hans Busse, molto noto, pare, all’epoca, poiché fu il traduttore dei testi di Crepiex-Jamin in tedesco. Si impadronì delle teorie e del lavoro di Klages. Nei primi anni del ’900 studiò all’università di Praga e poi a Lipsia e infine alla Sorbona. Nel 1918 ebbe ruoli da diplomatico per il governo della Cecoslovacchia, in Olanda e in Inghilterra.
In quegli anni scrisse saggi, testi teatrali, epigrammi e romanzi. Si dice che negli anni della prima guerra mondiale fosse a L’Aia (dove viveva con la sua famiglia) a dirigere un’agenzia di servizi segreti. Nel 1922 lascia L’Aia per Berlino dove vivrà per due anni. Nel 1924 lo troviamo a Londra, dove sarà corrispondente del giornale Prager Presse e avvierà una proficua attività grafologica.
Nel 1918 aveva pubblicato un romanzo dalla trama “grafologica”, intitolato Diplomats, edito dapprima in tedesco, poi in olandese, ceco, francese e italiano (nel 1921, edizione introvabile, peccato). Negli anni ’20 diede vita al Bollettino della Società di Scienza Grafologica Olandese, organo ufficiale dell’associazione.
Tenne conferenze presso la British Psychological Society Medical Section (1926) e prese parte a trasmissioni radio per la BBC (1927).
Morirà a Londra nel 1935, all’età di 55 anni.
Prosegue nel suo testo Saudek:
“Mentre tutti credono nella individualità della grafia come fatto naturale, confermato quotidianamente dall’esperienza, molti dubitano che sia possibile trarre dalla grafia conclusioni attendibili sul carattere dello scrivente. Tutte le obiezioni che sono state sollevate e sostenute contro la grafologia si possono confutare facilmente.”
Secondo Saudek la prima comune obiezione che la grafia dipenda esclusivamente dalla conformazione muscolare della mano è un’asserzione errata. Esperimenti condotti da vari studiosi, tutti documentati come quelli di Georg Meyer, Frank N. Freeman, Preyer, M. Ferrari, J. Hericourt, Ch. Richet, dimostrano che, ad esempio, la scrittura eseguita con la mano e quella eseguita dalla stessa persona sia con i piedi sia con la bocca, sono il prodotto di un unico e stesso cervello, così come anche le grafie prodotte durante le sedute di ipnosi.
Una seconda obiezione che la scrittura dipenda dall’insegnamento scolastico ricevuto è presto smentita: Saudek cita, tra gli altri, un testo di Crepieux-Jamin dove il grafologo francese aveva riportato esempi di scritture infantili della stessa età e della stessa classe, nelle quali le differenze individuali erano già chiaramente distinguibili.
Naturalmente all’epoca i bambini che oggi avremmo definito come “affetti da disortografia o disgrafia” e che quindi necessitavano di attenzioni particolari, sarebbero stati bollati di incapacità congenita e ritenuti pertanto scarsamente dotati di intelletto!
L’impressione riportata da non grafologi che in ambienti circoscritti o in ambiti professionali simili le persone si influenzino a vicenda e abbiano grafie molto simili pur non avendo lo stesso carattere, è anch'essa da Saudek facilmente smentita: “In realtà queste grafie evidenziano numerose piccole varianti (…) dal punto di vista psicologico più rivelatrici. Nei casi in cui le forme calligrafiche prevalgono e siano mantenute non solo nella corrispondenza d’affari, ma anche in quella privata, si può tranquillamente parlare di mancanza di originalità e cultura. Il proverbio latino docti numquam bene scribunt (si potrebbe rendere con “chi è istruito non scrive mai con eleganza” - NdR) è valido ancor oggi.” Circa l’obiezione comune nei confronti della tecnica grafologia che la grafia possa venire contraffatta e quindi modificata arbitrariamente, Saudek dice che generalmente le contraffazioni riguardano dettagli o forme che il falsario ritiene caratterizzanti la mano da imitare, ma che sono facilmente smascherate dall’esperienza del grafologo.
Assai importante è secondo Saudek l’analisi dei materiali e degli strumenti usati per scrivere nella pratica delle perizie grafologiche, ma non solo. Anche per le analisi di personalità un attento esame del mezzo scrittorio e del supporto cartaceo può permettere di raggiungere osservazioni ed analisi più precise e puntuali.
Saudek cerca di sistematizzare la materia grafologica, a partire dai suoi illustri predecessori, soffermandosi in particolare sulle teorie di Klages, che egli assimila ma anche critica.
La grafologia per essere credibile e scientifica deve avvalersi di sperimentazioni il più precise e rigorose possibile e a questo egli si adopera nei suoi testi e nella sua pratica professionale.
Malgrado i suoi sforzi di scientificità anche le analisi di Saudek riportate nel libro risentono dell’epoca cui appartengono. Vi si coglie un sottofondo, un senso di giustificazione ex-post del carattere dei personaggi illustri in qualche modo mai giudicabili secondo i parametri dei comuni mortali. Per esempio nell’analizzare la grafia di Beethoven, Saudek deve sospendere il giudizio: le vistose irregolarità, gli sbalzi pressori, i “pasticci” del Nostro non sono giustificabili agli occhi dello studioso ceco in un personaggio così creativo e geniale quale il musicista dei musicisti avrebbe dovuto mostrarsi!
Saudek, tra l’altro, sottolinea spesso l’importanza dell’appartenenza a una nazionalità piuttosto che a un’altra:
“L'italiano è più vivace del tedesco, il tedesco più vivace dell’olandese, l’olandese più vivace dell’inglese. Per l’inglese la prima regola è il self-control. Secondo il codice comportamentale inglese una persona sarà tanto più apprezzata quanto maggiore sarà stato il controllo esercitato nella gamma delle sue espressioni nel conversare con gli amici; questo controllo eccessivo è stato tramandato da una generazione all’altra fino a diventare una seconda natura della razza inglese. Un inglese non grida né protesta, non esulta e non piange in presenza di altri, né si lascia andare all'entusiasmo nelle sue manifestazioni d’amicizia.”
Probabile che Saudek non abbia conosciuto stili alla Hooligans e che abbia relegato in epoche passate luddismo, rivoluzioni violente e altri fatti che hanno visto protagonista il popolo inglese come altre nazionalità. I luoghi comuni sono duri a morire. E se anche ci può essere un fondo di verità nel “genius loci” è sicuro che le caratteristiche umane e i più comuni difetti li possiamo trovare a qualsiasi latitudine.[1]
Simili un po’ grottesche generalizzazioni vanno bene nelle barzellette, ma fanno invece paura in contesti che devono essere scientifici. Saudek risente ovviamente dell’ambiente di quegli anni in Europa, dove le distinzioni di razza sembravano avere qualcosa di vero e hanno prodotto ignobili fatti dei quali come europei e cittadini del mondo civile ci vergogniamo tuttora.
Occorre sradicare tali barbare concezioni dell’uomo, purtroppo talvolta riemergenti anche ai nostri giorni. Rigurgiti di mentalità vecchie e sbagliate
È d’obbligo non dare adito a giudizi moralistici che lascino spazio alla confusione e mescolino le sacrosante differenze tra persone e magari tra popolazioni, con sentimenti di odio o di presunta superiorità assolutamente ingiustificate e ingiustificabili.
[1] È innegabile che lo studio dei modelli calligrafici attraverso i quali la scrittura viene insegnata, di cui Saudek sottolinea l’importanza nei suoi testi, rimanga importante anche oggi, anche se molti fattori sono intervenuti nel mondo della scuola a rendere meno vistose o più sottili le differenze tra i modelli nazionali di apprendimento della lingua scritta. La globalizzazione è il fattore principale, ma vi sono anche fattori socio-culturali; la scrittura manuale oggi viene imparata anche per “osmosi” dai bambini, che arrivano alla scuola primaria già informati e a volte già “autodidatticamente educatisi” alla lingua scritta, e, vista anche la complessità del nostro mondo digitale, correggere impostazioni errate o soluzioni troppo personali nel disegno delle lettere diviene un compito arduo.

Patrizia Rizzi
Grafologa e Responsabile Gruppo Ricerca